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“Nina” si presenta come una coreografia astratta scomposta e poi ricomposta in piani paralleli; è un lare che si rende protagonista di ogni nuova festa celebrativa.

Frame di un contemporaneo “balletto triadico”, è una danzatrice congelata in piani trasparenti che conserva nella sua struttura una pluralità di ossimori: è libertà emotiva e rigidità corporea, è stasi e movimento; è una stratificazione di scene da traguardare; è un omaggio al passato e un souvenir per il futuro.

È un lare innamorato, o forse un lare trafitto al cuore.


Tra un design fatto “di sorprese” e un design fatto “per sorprendere”.

Un distributore automatico di progetti a disposizione dei visitatori della mostra, promuove la rivisitazione del gadget, che qui diventa “d’autore”: è la dimostrazione dell’utilità dell’inutile, il manifesto della gioiosa necessità del superfluo…Il dispenser distribuisce “progetti in 10 cm” realizzati da designer e architetti, progettisti dai più diversi percorsi culturali che hanno deciso di giocare con noi, semplificando, togliendo e riducendo: 100 palline saranno così distribuite attraverso il classico dispenser da bar, che attrae adulti e bambini affascinandoli e portandoli in un mondo di piccoli grandi tesori.


“FAVOLE AL TELEFONO” presenta la Storia Gastronomica d’Italia attraverso alcuni marchi storici, utilizzando un format ibrido che comprende una mostra interattiva, una mostra immersiva e una mostra diffusa. La mostra interattiva posizionata all’interno del Design Hostel si avvale di un vecchio telefono SIP appoggiato al desk dell’ingresso: si compone un numero associato a uno dei marchi esposti e una voce che risponde al telefono inizia a condurci dentro una storia personale, una ricerca, una sperimentazione che tocca i diversi sapori del food Made in Italy. Contemporaneamente lo spazio si anima: all’interno delle stanze del Design Hostel si accendono proiezioni che accompagnano le “favole” che stiamo ascoltando al telefono. Sono documenti storici, paesaggi di regioni lontane, storie di prodotti che parlano di tenacia, di coraggio e diingegno. Accedendo alle diverse stanze tematiche il visitatore può immergersi completamente nel mondo di ciascun marchio; qui attraverso foto, oggetti e proiezioni viene presentata la storia imprenditoriale di ogni azienda, dando voce ai suoi protagonisti. Poiché, però, è un ambito che possiamo conoscere veramente solo permettendoci di assaporarlo, la narrazione non si limita alla mostra, ma si potrà anche gustare nei “punti d’assaggio”distribuiti per tutta la città, che vanno a comporre un invitante museo diffuso.


M@is 2.0 è una macchina innovativa capace di trasformare in suono il passaggio dal chicco di mais al popcorn.
Nello specifico, M@is 2.0 si presenterà in una conformazione che ricorda “l’intonarumori futurista” e, inserendo un coin, partirà una musica tradizionale da camera (la base stessa della “Serenata” di Antonio Russolo) che si andrà a mescolare alla musica elettronica prodotta dallo scoppiettio dei popcorn. La componente sonora dell’installazione è generata in tempo reale dagli algoritmi del Sound Design Toolkit.

 

Il progetto è stato presentato durante la Milan Design Week 2017 presso l’iniziativa “A letto con il Design – Design Hostel”, ed è stato esposto ed utilizzato durante Milano Film Festival a Settembre 2017, presso BASE:

 

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Un’eredità che ti lascia spaesato: servizi con pezzi mancanti, oggetti spaiati ma ancora carichi di affettività, porcellane rotte o scheggiate ma che non sappiamo “abbandonare”… I ricordi di famiglia rimangono così intrappolati tra un passato denso di nostalgia e un futuro troppo incerto, che li relega di solito negli scaffali più inaccessibili! Con i “piani della memoria” tutti questi oggetti riscoprono invece una nuova vita e conquistano la loro “seconda possibilità”: un collante uniforme li accoglie, a volte li ingloba, altre volte li completa o ne rammenta le lacune con orme inequivocabili. Il servizio così si ricompone metaforicamente e i vari pezzi ritrovano una “dignità” (e un uso) che sembravano perduti. Questi “piani della memoria”, che ognuno può costruirsi a partire dagli oggetti che più ama, cristallizzano così un passato a noi caro, ricordandoci quell’attimo fuggito: sono “bevute in compagnia” di cui apprezziamo ancora l’aroma, sono “memorie di una pausa caffé in famiglia”, o forse è quella “litigata storica” con successiva riconquista e definitiva “promessa d’amore”!


Dopo Fast Architecture Ghigos ideas + LOGh tornano a progettare insieme agli studenti del corso di Architettura degli Interni del Politecnico di Milano un’architettura ecologica con “resto zero”.

La dismissione dei sacchetti di plastica diventa un’occasione per completare e dare vita ad un’architettura pubblica non finita nel comune di Ameno (Novara) durante la IV rassegna di architettura del paesaggio “studi aperti”. In un contesto storico, quello di Ameno, il comune mette a disposizione un edificio incompiuto, una costruzione spoglia che gli studenti dovranno “vestire”. Il progetto mira a dare una nuova funzione creando un abito per l’architettura, un vero e proprio vestito costituito da sacchetti di plastica. Con nelle orecchie il suono delle parole “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” verranno utilizzati gli shopper ormai banditi dalla vendita nei supermercati.

E’ un intervento che vuole essere una sensibilizzazione ecologica sul tema del riciclo e del riuso e, nello stesso tempo, un modo per dare identità ad un edificio privo di una funzione specifica e celebrare la fine di un’era. Riutilizzare un contenitore di servizio, come lo sono le buste di plastica, per non sprecare risorse e reinventare un oggetto conferendogli una nuova veste ed una nuova destinazione d’uso, esplorare nuove tecniche di costruzione con materiali inusuali ridefinendo un nuovo “alfabeto ecologico”.

Il progetto acquista così una duplice funzione, è un intervento educativo ed al contempo è un forte segno di comunicazione; è una bandiera che gioca sulle relazioni tra gli oggetti e le loro gerarchie.


asSEDIAti , La libertà è un punto di vista

Una sedia di “denuncia” politica e sociale, perché il design non può sottrarsi a fare sentire la propria voce in un momento in cui tutti ci sentiamo un po’ “assediati”…

La sedia diventa così un simbolo quotidiano letteralmente “investito” dal mondo: qui il disegno non è solo una grafica ma è davvero un buco, un foro tridimensionale non è un vezzo ma una ferita, non è assenza di materiale ma mancanza di  morale…

E comunque dipingiamo profili di mare e orizzonti di cielo, perché progettare è dare forma a una speranza:

Nella nostra speranza il petrolio sarà solo una firma d’artista…

E la libertà una parola su cui non ci si dovrebbe sedere mai…


La piramide esplicita tutto quello che sta dietro (e tra) la cose; tutto quello che viene prima; tutto quello che, forse, non verrà mai: la magia.
La piramide è un laboratorio alchemico, creativo e produttivo allo stesso tempo, forse anche un po’ impolverato… è sedimentazione di idee, emozioni, scoperte che ogni volta qui si possono riprodurre.
Il miele viene raccontato come esito di un processo produttivo complesso e misterioso, così imprevedibile da sembrare quasi magico. Alimento senza tempo ed oltre il tempo, nel progetto diventa molto più di un semplice cibo: è uno scrigno di sapori antichi, è una trasformazione meravigliosa che si perpetua sempre uguale a se stessa.
La piramide di ferro sottolinea ulteriormente questa valenza tradizionale: il ferro come il miele ha un’origine arcaica e un valore ancestrale. Ed entrambi, sezionati quasi fossero un reperto corrotto solo superficialmente dal tempo passato, richiamano un animato laboratorio medioevale.
E’ una magia antica, la loro… forse, è una rinnovata alchimia.


Fast architecture è un campo temporaneo che nasce spontaneamente e la cui energia si gioca nelle relazioni, nella possibilità di trasformarsi e di comunicare “progettualità”. E’ un’esposizione i cui contenuti vengono messi a confronto in un gioco di trasparenze plastificate. “Edifici-contenitore” fatti a loro volta di contenitori. Taniche che diventano mattoni e creano pareti leggere ad interfaccia programmabile. E’ una costruzione che può crescere e allargarsi all’infinito, qui nella forma di un padiglione che ha ospitato i lavori realizzati durante i “workshow” di NABA al Salone del Mobile 2006 e che è stato poi autogestito dagli studenti, per iniziative in continuo divenire.
Questi “contenitori di servizio” sono rimasti così “al servizio” di nuove idee ed erano sempre gli studenti a detenerne le semplici “istruzioni per l’uso”: istruzioni per trasformare la città, esporre se stessi, o comunicare se stessi trasformando la città…
Si propongono in questo modo strumenti per “composizioni urbane” tra l’arredo e il gioco, che possono essere utilizzate e riconfigurate a piacimento: sono “cellule” di Naba che nascono liberamente e possono reinventarsi, riadattarsi, rimpicciolirsi, ingrandirsi, per poi cominciare a vagare per il Fuori Salone. Intanto si credono con ingenuo compiacimento un arredo urbano “interattivo”, che trasforma lo spazio in un invasivo playground pronto a proporre nuovi contenuti, a conquistare altri luoghi nella metropoli, riciclandosi fin nei suoi angoli più residui…Perchè in fondo… se gli oggetti vanno utilizzati, perchè limitarne l’utilizzo? Se l’edificio-oggetto è una soluzione, l’edificio di oggetti è una rivoluzione!


Oggi riflettere sulla comunicazione vuole dire riflettere anche sulle migliaia di connessioni web tutt’ora attive e sulle migliaia di bytes che le persone si scambiano in continuazione.

Scambiarsi bytes per scambiarsi sensazioni, dati che son baci. Conoscere nuove persone, stabilire nuove
relazioni in forma di connessioni digitali, di interazioni e mediazioni con il computer. Il web come strumento di comunicazione per creare connessioni emotive. Lo scambio di sentimenti passionali è anche alla base dell’interazione che nasce tra l’opera e il visitatore. Il led che si illumina rispecchia un internauta che accede in un mondo altro, dove i sentimenti tra l’artista, il fruitore e l’opera sono palesati. Dipinti come riflesso di questo nuovo linguaggio globale, dunque; e spettatori come parte attiva dell’opera che innesca questo circuito sensoriale.



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