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“Trovare il punto dove finisce il mare… cercare quelle note invisibili che stanno tra i diesis e i bemolle, nello spazio di tutti e di nessuno…credere che se la voce non arriva dall’altra parte di un tubo – dopo centinaia di metri – è forse per un piccolo foro da cui lei scappa e si disperde. Un discorso tra due sole persone, un orecchio che aspetta inutilmente, e la voce che se ne va… […nei libri]. I computers sono strumenti vivi, fino a quando non “muoiono”. Il lume di una abat-jour rischiara, ma a vol te offusca. Delle pantofole accolgono nel nostro mondo…sono le NOSTRE pantofole: portano a scorgere la nostra intimità, le nostre abitudini, i nostri tic. Il tutto in un ambiente sensuale dove il vedere e il non vedere si fondono: per alcuni è un vedere filtrato, proiettato o spezzettato…. per altri è SOLO un “non vedere”, perché crea una scena fatta di allusioni. O illusioni?!” Questa l’installazione messa in scena durante “Intimacy” nel 2003: è lo studio che si è trasferito momentaneamente a Firenze, invitando gli amici a una “visita a domicilio”


L’installazione, pensata per il Centenario dell’università, diviene così un omaggio alla milanesità nel suo complesso, e si vuole porre anche come contributo al suo miglioramento urbano.
Concretamente abbiamo inteso riqualificare artisticamente e funzionalmente il nuovo Campus Bocconi, non alla ricerca di un’immagine innovativa e nemmeno di un’immagine…
…Alla ricerca di sentimenti e sensazioni.
Proponiamo la costruzione di un terreno passionale oggettivo, attraverso l’omogeneizzazione degli spazi interstiziali dell’attuale Campus, impiantandovi un bosco di piante ad alto fusto; proponiamo “un’aggressione verde”, un’aggressione positiva
Uno spazio urbano non solo teatro di operazioni artistiche, ma anche opera d’arte collettiva realizzata da un’intera comunità creativa, che sarà quella degli studenti e della cittadinanza. Quando saranno immersi nel bosco, nell’oscurità, le persone avranno la possibilità di esplorare, di avventurarsi, nascondersi, incuriosirsi, “farsi addomesticare”, innamorarsi, studiare, sognare, vivere, ricordarsi di essere uomini liberi.
All’interno del bosco non è previsto alcun percorso fisso, non esiste “un centro”, ma infiniti centri in movimento, ognuno, vagando alla deriva per questo “territorio della passionalità”, potrà creare un labirinto di corrispondenze casuali ogni giorno, ogni istante diverse.
A definire e ridefinire questo ambiente, o spazio “primario”,abbiamo posto degli elementi primitivi, semplici, essenziali nella forma come (forse) solo un cubo può essere. Il cubo è stato da noi idealizzato come oggetto che “popola” il nostro bosco. I suoi usi più svariati da parte degli studenti, e di tutti i cittadini, caratterizzano e creano spazi sempre diversi e nuovi; il cubo può servire come seduta, per appoggiarsi, per riposarsi…supporto per leggere, per studiare, per suonare o anche solo meditare, infine modulo per sempre nuove ed informali sculture, o ancora fonte luminosa che simula il ruolo dei lampioni e dissimula il paesaggio intorno, creando anche punti di aggregazione spontanea.
Questo spazio è pensato “temporalmente” in modo che il suo uso sia libero e diffuso per tutto l’arco della giornata; come detto, ad esempio, di notte i cubi s’illuminano ri-creando un nuovo paesaggio visibile dall’alto delle aule dell’università Bocconi in una sorta di “costellazione” terrestre.
Tecnologicamente il cubo è concepito secondo una stratificazione di materiali scelti in funzione delle loro specifiche prestazioni e delle caratteristiche di leggerezza. L’oggetto è durevole, resistente all’azione degli agenti atmosferici ed alle sollecitazioni di esercizio, inoltre è autopulente grazie ad uno speciale film protettivo in grado di dilavare lo sporco con l’azione della pioggia.
Tra i numerosi cubi disposti nel bosco ve ne sono alcuni utilizzati come supporto per proiezioni video,che consentono così la realizzazione di installazioni multimediali, (tramite monitor LEP alloggiati sotto la pellicola esterna protettiva). Questi cubi sono volutamente non dissimili dagli altri, in modo da non condizionare il comportamento degli utenti del bosco; i video trasmessi sono pensati “in coppia”, in sincrono a due a due: gli utenti più distratti non percepiranno questa idea finché non riusciranno a vedere i due cubi affiancati.
Sulla base di questa riflessione nel bosco ci sarà un diradamento degli alberi, e dal centro di un cilindro vegetale si potranno guardare il cielo milanese e le sue nuvole, come in una sorta di telescopio naturale a libera fruizione.
Allo stesso modo ogni sasso del bosco, come ci insegna ancora una volta Bruno Munari, racconta ad ognuno di noi una storia diversa:”pezzi unici” come le opere d’arte, perché “a guardarli bene per lungo tempo e con molta attenzione i sassi si rivelano un mondo da scoprire, un mondo di forme, di colori, di texture, di sporgenze e di anfratti”. Di nuovo dunque, come nel “Piccolo Principe”, è lo sguardo con cui si osserva la realtà, anche nei suoi particolari più comuni, che ci può far giungere a sorprendenti ed inaspettate scoperte.



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