30 April 2019
La mostra Redesign 1979-2019 propone un dialogo ideale tra le esuberanti provocazioni di Alchimia di fine anni Settanta e un “redesign” contemporaneo, riproposti 40 anni dopo dallo stesso Alessandro Guerriero e rivisitato in chiave tecnologica da Ghigos.
La sedia Universale di Joe Colombo e la Zig Zag di Rietveld diventano così occasioni per mettere in scena un cortocircuito tra passato, presente e futuro prossimo, tra le radici di un design “banale, psichico, artigianale” che mantiene la sua carica visionaria e un design sempre più informatico, open source e democratico.
Cambiano gli Alfabeti Visivi, si cercano nuove Cosmesi, ci si avvale di tecnologie innovative, ma il concetto di Redesign è davvero mutato? Guerriero e Ghigos propongono le loro visioni improbabili, provocatorie, emozionali – espressioni di nuove Alchimie o di processi in “low resolution”, a 8 e 16 bit – dove pacificamente convivono “artigianato, industria, informatica, tecniche e materiali attuali e inattuali” (A. Mendini).
Molte persone, soprattutto quelle con qualche anno in più sulle spalle, sono solite affermare che “tutto è già stato fatto”. Vero o falso che sia, accettiamo questo annoso refrain; ciò nondimeno restiamo dell’avviso che tutto può essere ri-fatto, meglio o peggio dell’originale. Confidiamo infatti che una citazione o un omaggio, dir si voglia, ci sgravi dal peso del passato, permettendoci di ripensare e ridefinire gli oggetti che accompagnano la nostra esistenza.
Se il design cerca di aderire a nuove idee e intuizioni, il redesign attinge a una serie di [vivide] reminiscenze per condurci a un ulteriore livello di comprensione. E mentre la produzione industriale tende allo sterminio degli errori di progettazione, il redesign adotta la pratica del rimescolamento e del disorientamento per mettere in crisi gli oggetti e i loro autori. Di contro alle utopie moderniste, il redesign ci porta all’interno di una gioiosa ucronia, un mondo differente e volutamente imperfetto che riesce a sorprenderci, ridestandoci dal torpore della banalità.
È sempre bene ricordare che gli oggetti non sono mai definiti una volta per tutte, appartengono a un patrimonio collettivo che è fonte d’ispirazione e reiterazione. Il gruppo Alchimia aveva tentato l’azzardo nell’ormai lontano 1979, minando l’identità di alcune icone del design e mostrandocele come mai ci saremmo aspettati di ri-vederle; con lo stesso intento, il collettivo Ghigos ha deciso di riprovarci avvalendosi delle tecnologie di digital fabrication, accettando la sfida del «design integrato e uniformato dalla tecnologia e dall’informazione» che Guerriero e Mendini avevano propugnato quarant’anni prima. L’impegno da parte degli uni e degli altri nel ripensare la Zig Zag di Gerrit Thomas Rietveld e la Universale di Joe Colombo ci permette quindi di interfacciarci con nuovi modelli culturali e con nuove peri[pe]zie tecnopoetiche che intendono debellare il conformismo e l’ovvietà.
Fare, disfare, rifare. Distruggere per creare. Alla “seconda vita” degli oggetti immaginati dal gruppo Alchimia si affianca ora una “terza vi[t]a” offerta dai Ghigos, resta giusto da chiedersi cosa dovremmo attenderci dal redesign dei prossimi quarant’anni? La sfida resta aperta a inedite narrazioni, con la consapevolezza che bisogna smettere di essere semplici fruitori: dobbiamo imparare a essere degli interpreti della vita.