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Nel 1972 il MOMA di New York mette in mostra il lavoro delle avanguardie radical italiane che si confrontano in un  “new domestic landscape”. Giovani gruppi di progettisti come Archizoom e Superstudio definiscono in quegli anni delle “visioni” architettoniche completamente nuove e “radicali”, immaginando scenari utopici in stretto rapporto con la tecnologia.

A quasi mezzo secolo di distanza, ci troviamo a vivere in un mondo diverso rispetto a quello immaginato dalle utopie radicali, dove la tecnologia “a portata di mano” ha reso la città sempre più “smart” ma senza stravolgerne la fisionomia.  In un contesto dove il concetti di produzione e di consumo di energia sono fattori fondamentali per lo sviluppo presente e futuro, immaginare come questi attori possano plasmare la città esistente diventa un atto doveroso.

Così cinque giovani studi di progettisti italiani si confrontano, lavorando su cinque diverse tipologie di energia per rivoluzionare con forza creativa l’area di Milano Bovisa.

False Mirror Office, Ghigos, Gruppo Torto, UNO8A + caarpa e W.A.R. si propongono  come una nuova generazione di progettisti che dialogano ironicamente sul futuro della città in un “new energetic landscape”. Gruppo Torto sfrutta le possibilità dell’energia potenziale per creare attorno ai gasometri strutture dalle quali tuffarsi e scivolare; False Mirror immagina dei totem di energia tribale in grado di coinvolgere la comunità in nuove manifestazioni primordiali; Ghigos utilizza l’energia da biomassa come mezzo per un’integrazione\sovrapposizione  tra mondo agricolo e città in un “ritorno al futuro” urbano;  W.A.R. trasforma il cimitero degli angeli di John Hejduk in un accomulatore di energia cinetica; UNO8A + caarpa usano il calore generato dalle infrastrutture digitali come mezzo per realizzare nuovo ecosistema urbano.  Il tutto si racconta in un piccolo interno domestico formato da tovaglia, piatti, specchi antichi e budini, per una “tavolata di architettura” dall’irriverente sapore radical.


Ampliamento dell’hotel Maison de Nage sulle piste di La Thuille. L’ex-caserma trasformata in Hotel negli anni 2000 viene aggiunto un nuovo spazio per l’ospitalità con una nuova hall e un serie di stanza tematizzate che inquadrano il paesaggio.


Il progetto per la nuova sede SAE a Milano lavora sulla moltiplicazione del marchio, sul suo declinarsi in tutti gli aspetti, dalla grafica all’arredo all’architettura, per raccontare con immediatezza e semplicità chi si e’, cosa si fa e con che valore aggiunto, per rafforzare l’identità dell’azienda e rendere il messaggio fortemente riconoscibile e difficilmente dimenticabile. La grafica del logo SAE, composta da un pattern di linee orizzontali, si scompone nei suoi elementi minimi e diventa strumento di comunicazione: il marchio si trasforma nella matrice formale della facciata che, come una seconda pelle, riveste l’edificio e crea giochi grafici e volumetrici in cui la scomposizione in elementi minimi permette di mantenere sempre un doppio livello di lettura. Allo stesso modo il segno grafico invade anche gli spazi interni diventando esso stesso elemento compositivo e strutturale. E’ un nastro che attraversa i corridoi accompagnando il percorso ed incorporando la segnaletica, un pentagramma immaginario che si srotola ed a tratti sconfina e diventa funzionale: ora è una seduta che accoglie all’ingresso della scuola, ora sono tagli di luce che accompagnano e dirigono verso la reception.



Una cappella monumento per raccontare e rappresentare una famiglia. Una forma semplice, perchè a parlare sono i materiali utilizzati e la simbologia della grafica della porta, fulcro dell’edificio.
Il rivestimento esterno alterna la corposità e la matericità dell’ardesia in lamelle a spacco alla trasparenza e alla leggerezza del vetro; l’interno, invece e’ interamente rivestito con marmo di Carrara per ricreare un ambiente dal sapore eterno.
Alla cappella si accede attraverso la porta realizzata totalmente in vetro, impreziosita da cardini e maniglia in ottone.
Sull’ingresso è serigrafata l’immagine di un albero, per meta’ spoglio e per meta’ fiorito a simboleggiare l’alternanza e la compenetrazione tra vita e morte. Un elemento naturale per trasmettere la metamorfosi della rinascita, ed enfatizzare l’eterno ritorno di ciò che e’ stato, nel ricordo della famiglia.


Dato l’edificio, lo sviluppo architettonico della biblioteca punta per lo più su un restauro volto a conservare e salvaguardare la struttura esterna esistente ed alcuni interni a volte di grande pregio. Nella ripartizione interna degli spazi invece, si è operato per rispondere al meglio alle svariate necessità e consentire una corretta vivibilità di ogni area. La dislocazione degli ambienti segue una logica legata alla teoria del silenzio affinchè in ogni spazio venga garantito il corretto rapporto tra l’attività e le condizioni ambientali necessarie. Alcuni concetti essenziali perseguiti sono: la facilitazione dell’ingresso e dell’attraversamento interno per consentire libertà e spontaneità d’uso; la rimodulazione degli spazi interni lavorando su nuove o esistenti qualità architettoniche; l’identificazione degli ambienti in modo tale che il complesso divenga un unico contenitore neutro al cui interno si riconoscano spazi altamente qualificati. L’elemento della libreria è un arredo che fuoriesce dal salotto della Teca e invade la città ospitando la pubblicità degli eventi e suggerisce, come un marketing virale, una rete spontanea di book crossing. Le proiezioni sull’edificio consentono di intervenire in modo reversibile sulla pelle della Teca, tramutandola in un medium essa stessa, pronta a meravigliare ed informare. La facciata, dunque, diviene un display in tutte le accezioni del termine, per usi informativi ed artistici: un’architettura effimera ma fortemente comunicativa.


Rimanere con i piedi per terra e la testa tra le nuvole, vagare in una dimensione onirica per scoprire che, invece, questa volta è davvero un “sogno ad occhi aperti”…

Tutto il progetto gioca sulla metafora dell’illusione, del paradosso e dell’incongruenza, che qui prendono forma e si concretizzano in una visione fantastica e ludica. Un’oasi urbana eterea ed estraniante, una pausa ludica nel frenetico ritmo cittadino.

Per chi ci sa credere e lo vuole vedere, un vero miraggio metropolitano. E’ un sistema di piattaforme lignee che si compenetrano o si distaccano l’una dall’altra, creando un grande “palco attrezzato” da vivere a tutte le ore, su cui sedersi o coricarsi, da attraversare o da “sfidare”.

Sono platee a specchio che riflettono il cielo, sono cuscini di verde, in cui sprofondare col naso all’insù avvolti in un inebriante profumo di menta e sono panchine come spartiti musicali, che si distendono nello spazio e si “arrampicano” verso il cielo. Il tema del paradosso prende forma in particolare nelle due grandi piattaforme “sospese” nel vuoto ad oltre 3 m di altezza, apparentemente sorrette unicamente da getti d’acqua.

Da lontano il sistema è interpretato come un “miraggio metropolitano”, i getti d’acqua assecondano un programma predeterminato, creando un “calendario di eventi nebulizzati”: sono talvolta getti concentrati come pilastri; sono improvvisamente spruzzi a diverse altezze ma sono anche “muri d’acqua” temporanei che creano quasi una stanza appartata.

In questa “casa sotto la foglia” l’uso diventa rito, all’insegna di una nuova “metodologia dello stare”. E’ una “macchina scenica” per un coinvolgimento sia fisico che emotivo; è un luogo per appartarsi, riposarsi o semplicemente in cui liberare la mente. E’, in sintesi, un perdersi piacevole tra le pieghe del surreale.

Per altri sarà forse un’interpretazione in chiave contemporanea della tradizionale fontana, qui capovolta nei suoi codici formali… ma la sua essenza “sopravvive” al ribaltamento, così come il suo ruolo quasi magico di controparte che accoglie, conserva e (forse) esaudisce i nostri desideri, usualmente impressi in semplici monetine gettate nell’acqua con il cuore in gola.

Il rito è ovviamente rivisto e “capovolto”: ora la classica moneta viene lanciata in aria così che alzando gli occhi al cielo, il tradizionale “tappeto” di spiccioli si riscopre nell’inedita veste di decoro superficiale che “disegna” il soffitto.

Sono i nostri sogni regalati al cielo, ma sono anche i sogni di Roma che paiono fluttuare a mezz’aria, in attesa di prendere il volo…


Uno chef europeo approda a Pechino: non un immaginifico viaggio per ricettari esotici, nè un’esplorazione lungo le vie del gusto. Nasce il Riverclub un luogo di incontro e scambio, confronto e racconto tra riflessioni antiche e ricerche sapienti: un tentativo consapevole di raggiungere un’eccellenza per l’esperienza dei gourmand globali. Il progetto dell’allestimento interno prosegue lo studio e il dialogo sviluppato tra lo chef e gli architetti nel progetto di ristrutturazione dello storico ristorante della famiglia Sacco. Se ora la matrice prima del progetto si colloca certamente nell’incontro tra le civiltà occidentale ed orientale, è stato però nello svilupparsi di successive coppie di termini, non in antitesi ma in rapporto di complementarità, che la sala, la cucina e gli arredi sono stati disegnati. Identità e ricorrenza, esperienza ed esplorazione, tradizione ed innovazione, classico e contemporaneo sono le declinazioni affini dei temi che il progetto affronta nel tentativo di cogliere, mantenere e suggerire le tracce di una possibile via di collegamento tra i due mondi.


6000mq di natura ed una villa da progettare. Su questi presupposti nascono due declinazioni di una casa perfettamente integrata con lo spazio circostante:

 

La natura nella villa

 

La villa sorge su terrazze formate seguendo la naturale inclinazione della collina e si struttura attorno a due patii che inglobano la natura in modalità svariate. Nei giardini privati crescono piante preziose, la luce del sole entra filtrata da fontane trasparenti e disegna decorazioni a muro e pavimento passando attraverso schermi solari forati, le finestre incorniciano il giardino e scorci di paesaggio, mentre l’acqua scorre attraverso l’edificio e tutta attorno al giardino mediante fontane e giochi d’acqua.

Anche se la casa è chiusa in se stessa comunica  all’esterno la propria identità attraverso decorazioni di muri e finestre raffiguranti segni naturali scelti dai proprietari.

La villa nella natura

La casa è costituita da un gruppo di stanze-volumi separati, collegati da corridoi e passaggi in vetro. La villa è proiettata verso il giardino circostante, creando tra i volumi uno spazio aperto intimo e privato. Per enfatizzare questo effetto una superficie ombreggiatura avvolge tutta la casa come una tenda di luce, alternativamente trasparente e opaca per non interferire con il paesaggio naturale. I volumi sono ricoperti con materiali diversi in base alle destinazioni d’uso: le zone notte sono decorate con una pelle di pannelli di Corten forato, mentre il volume rivolto ai piedi della collina è ricoperto da un muro verde volto ad enfatizzare l’effetto mimetico della casa.  Infine, gli spazi dedicati al tempo libero sono costituiti da cemento colorato, tutti i corridoi e passaggi sono invece chiusi con lastre di vetro.


Una città migliore una vita migliore, questo il motto dell’expo di SHANGHAI. Un manifesto che indica la possibilità di una vita più serena in luoghi progettati con più attenzione. Sotto tale prospettiva, e per tale promessa, il termine “città” non può allora indicare solo i grandi agglomerati urbani, ma deve intendersi riferito universalmente a tutti gli ambienti costruiti dall’uomo per vivere e lavorare, per sviluppare la propria personalità ed intessere le relazioni con gli altri individui.

Sebbene il progetto che siamo qui a presentarvi non si colloca in una densa urbanizzazione, prevede comunque uno sviluppo immobiliare di notevoli dimensioni in un’area vacanziera con grandi qualità naturalistiche ma anche dotazioni ed infrastrutture proprie delle piccole metropoli.  Tale contestualizzazione ci ha pertanto portati ad immaginare una visione di Sanya come luogo in cui la qualità dei piccoli centri delle coste più incontaminate potesse incontrare quella dei servizi per il leisure delle grandi e storiche località turistiche.

Questo documento pertanto è il report di un processo di focus verso una più equilibrata soluzione alla domanda di uno sviluppo immobiliare di alta qualità che rispetti il valore intriseco dei luoghi. Un cammino progettuale che tenta di mediare tra la forte connotazione spaziale dell’antropizzazione urbana e la volontà invece di cogliere nelle forme e nei ritmi della natura le matrici del progetto.



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