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Un libro a cura di Luciano Crespi, a cui Ghigos Ideas contribuisce con un testo di Barbara Di Prete sulla “città come arcipelago di relazioni”. Il volumetto, edito da Maggioli Editore, tratta il tema della città come territorio dell’umano, per riscoprirne il ruolo ed il valore come luogo d’incontro attraverso nuovi punti di vista e scenari spesso impensati.


La Fondazione Museo Arti e Industria del Forum di Omegna con questo catalogo avvia un processo di promozione del Museo – ieri “del casalingo”, oggi “del domestico” – che conserva la storia industriale del territorio in un’ala della ex ferriera Cobianchi (un’industria metallurgica fondata da Vittorio Cobianchi nel lontano 1887 che presto acquisì rilevanza nazionale).

Ristrutturato negli anni Novanta dall’Atelier Mendini, grazie all’attento progetto di recupero il Museo conserva anche architettonicamente la memoria storica dell’area, facendone emergere l’antica vocazione industriale; la struttura si presenta, infatti, come un interessante esempio di restauro in cui il rispetto delle strutture esterne originali si è coniugato con armonia agli interventi interni, volti invece a soddisfare la nuova funzione museale. Ne è risultato un dialogo riuscito tra “contenitore” e “contenuto”.

Oggi l’edificio che ospitava la storica fabbrica ha ormai assunto un ruolo focale nella città, divenendo un punto di riferimento per le persone che lì possono trovare il Museo, ma anche un complesso plurifunzionale al servizio dei cittadini.

La Collezione Permanente che vi è esposta è stata organizzata nel 1998 grazie al “Regesto storico aziendale” promosso dalla Fondazione Arti e Industria di Omegna; si tratta di un primo cospicuo lavoro di archiviazione e catalogazione che negli anni è stato poi ampliato e aggiornato. Ora nuove strategie indirizzano però il Museo verso altre sfide:

l’obiettivo è coinvolgere tutti gli appassionati di disegno industriale nella storia poliedrica del comparto e al contempo rendere partecipe la popolazione di una storia che nel Ventesimo secolo ha contribuito a rendere riconoscibile il design italiano nel mondo.

Nelle quattro sale del Museo, in un percorso scandito per ventenni, il secolo appena trascorso si racconta così attraverso alcuni oggetti simbolo della tradizione italiana del design che tuttora popolano le nostre case. Sono caffettiere, pentole a pressione o casseruole, giochi per bambini che imitano il mondo casalingo degli adulti come strumenti per il settore alberghiero o per il bar fashion. Sono posate e servizi per la tavola innovativi, ma sono anche ricercate rubinetterie; icone di un design talvolta funzionale e talvolta “emotivo”, che persegue l’ottimizzazione delle operazioni in cucina ma riscopre anche “l’affettività” negli oggetti che ci circondano e con cui condividiamo il quotidiano: sono “la civiltà dell’abitare” e “l’arte della tavola” che dalle nostre case entrano con familiarità nelle sale espositive.

Questo catalogo, come l’allestimento della Collezione permanente, presenta un breve viaggio nella storia industriale della zona del Cusio, guidandoci in un’ideale passeggiata nel tempo: nei successivi sei capitoli ventennio dopo ventennio scorre il racconto degli uomini e degli oggetti che hanno fatto il successo delle ditte del comparto dagli inizi del Novecento fino ad oggi. Lanciamo così uno sguardo tra le abitudini e le innovazioni che hanno accompagnato la vita dei nostri genitori e, prima di loro, quella dei nostri nonni; non guarderemo però solo al passato, perché nel frattempo anche recenti sperimentazioni che connotano alcune ricerche d’avanguardia sono entrate in Collezione. Il catalogo racconta quindi le innovazioni di ieri e di oggi, in attesa di ancora nuove scommesse progettuali che presto potranno arricchire la Collezione Permanente.

Un’ultima notazione prima di sfogliare le pagine che seguono: il catalogo descrive il prodotto non come esito di un processo progettuale fine a se stesso, ma come riflesso della cultura materiale e del contesto sociale in cui si inserisce, spesso ridefinendone i confini. Raccontare la storia delle imprese significa, infatti, avventurarsi in uno spaccato della storia contemporanea: significa conoscere gli uomini che hanno fondato le aziende, quelli che vi hanno lavorato, gli ingegni che le hanno rese grandi, le innovazioni tecnologiche che le hanno favorite, la comunicazione che ha costruito la loro popolarità, l’immaginario che hanno creato, i cambiamenti nel costume che hanno accompagnato e talvolta determinato con i loro prodotti…

Per questo motivo la Permanente conserva, oltre agli oggetti storici, anche materiale iconografico relativo ai prodotti delle aziende del comparto, raccontando la storia industriale del territorio attraverso utensili, ma anche interviste, documenti cartacei e video: molteplici materiali che restituiscono i diversi aspetti di una realtà produttiva unica, capace di creare alcune delle icone del design italiano contemporaneo.

La visita alla Collezione risulta un’esperienza affascinante proprio per queste numerose letture alle quali il prodotto industriale si offre, in una stratificazione di informazioni che sono riportate nelle pagine che seguono.

Sfogliandole si noterà infine come, sia il catalogo, sia l’esposizione, contemplino dal design “artigianale” al disegno industriale seriale fino al “design d’autore”, mostrando al contempo le sperimentazioni di Alessi (Crusinallo di Omegna) come la produzione elegante di Calderoni (casale Corte Cerro), i nuovi successi di Bialetti (Omegna) e le serie storiche di Lagostina (Omegna), di Girmi (Omegna), di Irmel (Omegna) e Tracanzan Alfa (Armeno), il mondo fantastico de La Nuova Faro (Omegna) e quello professionale di Piazza (Omegna). Aziende simbolo del design italiano, le cui storie si ritrovano nei percorsi della Collezione permanente del Forum.

A partire dalla pubblicazione di questo catalogo il Museo, travalicando il semplice concetto di “casalingo”, guarderà inoltre con sempre più attenzione al mondo domestico in tutte le sue sfaccettature: dall’arredo che sconfina nel gioco al gioco che diventa arredo, dalle ricerche sviluppate nel tessile ai suppellettili e agli accessori per il bagno. In tale direzione la Collezione permanente si sta predisponendo per accogliere anche una selezione ragionata del catalogo della Giacomini Spa (San Maurizio d’Opaglio) e della Fratelli Fantini Spa (Pella), le cui ricerche da sempre si indirizzano verso un “bagno d’autore”.

Una nuova storia si intreccia così con la vecchia, mentre un “museo domestico” per una collezione sul domestico si va configurando.


Uno strano quanto curioso poliziotto indaga tra Decor e Decus. Ispezionando a regola d’arte la scena del fatto compiuto, esaminando gli indizi e interrogando le parti in causa il nostro investigatore giugnerà a una soluzione che, in queste righe – poichè il mistero vuole la sua parte – è coperto dal riserbo.


Catalogo dell’omonima mostra ambientata in un bar fatto di “progettualità” oltre che di progetti. Un racconto  dello studio ghigos che parla di un certo modo leggero (e comunque impegnato) di affrontare il lavoro. “Serendipity” – il bar dell’imprevisto – è un’installazione, un modo di pensare, un guardare le cose da un altro punto di vista per scoprirle così, improvvisamente, affascinanti e nuove.


Il libro segue una mostra che è a sua volta esito del lavoro svolto dagli studenti durante il Laboratorio di Progetto di interni – concept del Politecnico di Milano, Facoltà del Design, tenuto insieme ad Alessandro Guerriero e Mariapia Bobbioni.
All’interno del libro si trovano sia indicazioni inerenti gli ospiti esterni che hanno partecipato al corso – ed hanno contribuito a definirlo con le loro installazioni, i loro racconti, le loro visioni – sia i singoli progetti proposti dagli studenti, qui riproposti tramite schizzi e foto.
Sono micro-architetture, mobili rimpiccioliti, gioielli ingranditi, monumentini di ceramica, feticci di cartapesta, protesi di mosaico, geometrie tridimensionali, superfici informali… Esprimono miraggi, energie, arie piene di gas invisibili, fallimenti progettuali, paure, perdite di tempo, memorie mancate.
Sono progetti portati all’infinito, sono pensieri ritmici, ossessivi e ripetitivi come le pagine di Thomas Bernhard: pensieri raggelati, una collezione di gesti tirati a riga e squadra che partono dal corpo.

Nel libro rimarrà così traccia di questi “abiti-architetture” che “arredano” i corpi degli artisti, rappresentazioni di loro stessi e del loro vissuto. Abiti/abitazioni in cui riconoscersi e ritrovarsi: primi racconti di una storia che può diventare condivisa


Il testo assume il modello come filo conduttore per leggere i cambiamenti intercorsi nel processo progettuale dagli anni Cinquanta fino ad oggi, poiché proprio il modello rappresenta lo strumento che, più di altri, li interpreta e li determina. L’obiettivo è definire un quadro teorico che ne precisi significato, valenze, potenzialità e limiti, analizzando, da un lato, i diversi modi con cui le maquette e i modelli informatici vengono utilizzati e, dall’altro, le tecnologie a controllo numerico con cui essi si interfacciano. In tale ottica le recenti innovazioni tecnologiche rappresentano un momento di svolta, perché hanno già avuto evidenti ricadute sulle pratiche progettuali tradizionali: il modello digitale non si configura solo come uno strumento di studio, verifica o presentazione, ma si interseca, si sovrappone e spesso anche caratterizza la poetica e la metodologia progettuale degli architetti d’avanguardia, divenendo un vero e proprio input per la determinazione formale, strutturale o tipologica del progetto. Nel testo il modello è diventato così l’occasione per fornire una panoramica ad ampio respiro all’interno dell’orizzonte progettuale contemporaneo, presupposto per lo sviluppo di una futura produzione digitale, ad oggi solo intuibile, che schiude inaspettati scenari sociali, formali e costruttivi.


Il libro, che segue l’omonima mostra, illustra una selezione degli oltre 360 gesti raccolti, impressi in scatti fotografici e individuati nelle loro sfumature di significati, valori e usi differenti.
Proponiamo così un dizionario (di munariana intuizione) di gesti inter-culturale, che conduce i lettori in un viaggio tra paesi diversi, per scoprire quanto si possa essere simili pur nelle differenze e diversi nelle similarità: sfogliando le pagine che seguono paiono infiniti i percorsi di lettura possibili, tra gesti apparentemente noti ed altri assolutamente insoliti…
“Cenni sulla diversità” è per questo il sottotitolo del libro, che vede nella parola diversità solo un elemento di ricchezza e un’occasione per mettersi in gioco confrontandosi in una sorta di specchio infranto: la molteplicità dei gesti illustrati diventa un pretesto per sottolineare la ricchezza multiculturale in cui sempre più agilmente ci muoviamo, seppur spesso senza conoscere “il linguaggio” delle persone che ci stanno vicino e con cui dialoghiamo quotidianamente, tra curiosità e timori.
Vedersi e non solo guardarsi, scoprirsi per provare a conoscersi e conoscersi per apprezzare il piacere di scoprirsi, a poco a poco, “imparando a comunicare”: questo potrebbe essere dunque il vero senso della ricerca, ed è curiosare tra le tradizioni che ci sono lontane il cammino più immediato a cui vi invitiamo…accogliendovi a gesti.


Non sapremmo effettivamente in poche parole descrivere i contenuti di questo libro; fotografie, ricordi, flash, messaggi, consigli, speranze, lotte: tutto questo, nascosto fra le righe dei pensieri, emerge dalla ricerca proposta. Sono suggestioni ed emozioni quello che vorremmo suscitare attraverso immagini spesso inedite, ed attraverso poche frasi, dei nove maestri dell’Architettura a cui è dedicato la pubblicazione: F. Albini, P. Bottoni, C. De Carli, G. Ponti, E.N. Rogers, A. Rossi, G. Scarpini, V. Viganò, M. Zanuso.
Parliamo di loro, ma attraverso loro parliamo soprattutto di Architettura, di Storia, di Vita; studiamo i loro Pensieri per farli nostri, ed una volta nostri li potremo sviscerare, sviluppare, magari anche contraddire.
Non proponiamo alcuna precostituita chiave di lettur, ma condividiamo l’affermazione di un giovane critico milanese, Luca Molinari: “ed io continuo a pensare che architettura sia << sostanza di cose sperate>>. Continuare a sperare, continuare a progettare”



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